La Smarginatura #14: Interview with the vampire (AMC)
Il mito del vampiro tra erotismo e cattolicesimo
Are You Alright Now, Or Is Today
A ‘I Will Wed You With A Delicate Veil Of
Blood Blooming Over Your White Curls’ Kind Of Day?
Astarion, Baldur’s Gate
I vampiri. Creature mitologiche, icone dell’horror. Forse è sbagliato dire che i vampiri stanno tornando di moda, in realtà tornano ciclicamente nella cultura pop e ogni volta con un peso e significato diverso. E certo, le cose per i vampiri sono cambiate dai tempi di Twilight fino ad oggi. La reinvenzione del mito del vampiro nell’era moderna non esclude sfumature politiche, e la serie tv AMC Interview with the vampire, remake del film del 1994 diretto da Neil Jordan, ne riassume molte, dalla queerness al catholic guilt passando per il razzismo.
La prima impressione guardando la serie tv, soprattutto per chi conosce il materiale letterario di partenza, è che si tratti di una fanfiction. Un termine, questo, che potrebbe attirare qualche pregiudizio, ma solo chi sa cosa può rappresentare un testo del genere . al di là del puro divertimento - comprende quanto Interview with the vampire si avvicini a quel bisogno di riscoperta ed esplorazione che accomunava le prime comunità di donne che, prima ancora dell’avvento di internet, si riunivano per stravolgere le opere di finzione a proprio piacimento (per approfondire l’argomento, rimandiamo a un vecchio numero della nostra newsletter).
È una fanfiction perché stravolge la storia e le relazioni tra i personaggi, ed è scritta con gli occhi di chi ha colto la tensione erotica tra i due protagonisti, Louis e Lestat. Nelle fanfiction non esistono regole: tutto può essere reimmaginato. E che meraviglia per gli occhi quando la riscrittura esplora mille nuove sfumature, mille nuove possibilità.
Quando l’uomo nero è un vampiro
Nei suoi romanzi Anne Rice usa il vampirismo per rappresentare l’uomo bianco che fa sue prede uomini e donne razzializzate. Nella serie tv, Louis de Pointe du Lac (Jacob Anderson) è un uomo creolo della New Orleans dei primi del Novecento. Si opera, insomma, un doppio rovesciamento. Il primo è quello del protagonista, che attira l’odio su di sé non solo per il colore della sua pelle ma anche perché vive apertamente la sua relazione con Lestat, oltre ad essersi ritagliato uno spazio di potere e ricchezza nel suo locale che la concorrenza bianca vuole portargli via. L’apertura di un locale “vietato ai bianchi”, poi, innesca un meccanismo di rabbia e vendetta che avrà il suo culmine nella strage del Mardi Gras. L’altro rovesciamento è quello della figura dell’uomo nero al cinema.
Per molto tempo, il successo commerciale dei Blaxpoitation ha fissato nell’immaginario collettivo un certo tipo di persona nera: quello del predatore affascinante, elegante, pieno di charme. Alcune caratteristiche che, tra l’altro, avvicinano il prototipo al modo tipico di codificare l’omosessualità ai tempi del codice Hays, che ha già ispirato il personaggio di Hannibal Lecter nella serie NBC (IWTV e Hannibal hanno molto in comune, vampirismo e cannibalismo sono facilmente interscambiali).
Basti pensare al film Blacula, prima trasposizione di un vampiro afroamericano nella storia del cinema. Protagonista di Blacula è il principe africano Mamuwalde, che giunge in Transilvania per parlare con il conte Dracula con l’intento di protestare contro la tratta degli schiavi africani. Una volta vampirizzato, ucciderà persone Bipoc e omosessuali. Da quel momento in poi, nella storia dell’horror saranno tanti i film che useranno la blaxpoitation per offrire un vasto commentario sociale e antropologico sul razzismo, e Interview with the Vampire aggiunge nuove sfumature a questa già lunga tradizione.
Anche Louis è affascinante, ha un certo stile, la sua ricchezza deriva dallo sfruttamento di una comunità vulnerabile (le donne prostitute). Protegge però la comunità nera e bipoc, ammonisce Lestat se si prende gioco della sua band di jazzisti e, “in modo quasi anti-eroico, prende di mira i razzisti che lo colpiscono”1.
“L’esperienza estrema”: erotismo e catholic guilt
in Interview with the Vampire (di Sara R.)
Dopo la morte del fratello Paul, Louis vive solo per dare adito ai propri pensieri di morte. È perseguitato da un immenso senso di colpa, convinto di essere stato la causa del suicidio del fratello, e non riesce ad elaborare il lutto perché è convocato dal vampiro Lestat, che è stanco di aspettare secondo i lenti e boriosi tempi degli umani, e vuole farlo suo il prima possibile - ha già posseduto la sua mente e infestato la sua New Orleans. Realmente convinto di essere vittima del diavolo, Louis - forse perché crede che sia davvero Satana a parlargli nelle orecchie, o perché ormai l’immagine di Lestat si è totalmente sovrapposta a quella del demonio - fa ciò che non aveva mai fatto prima, nemmeno sotto le preghiere insistenti del proprio fratello: va a confessarsi. Spera che in questo modo un semplice ciarlatano investito degli incommensurabili poteri di Dio possa perdonargli ogni colpa fino a quella originale di cui tutti i cristiani sono macchiati. Chiede perdono, perché ha peccato, gravemente peccato. Senza possibilità di scagionarsi, si mette a nudo di fronte a Dio: codardo, ubriacone, bugiardo, ladro, drogato, donnaiolo, delusione del padre, fallimento per il fratello, estraneo a madre e sorella. Questa sequenza climatica è sigillata dal più grave e imperdonabile dei peccati: “I laid with a man”.
Al massimo della sua vulnerabilità, Louis confessa urlando in modo disarticolato qualcosa che, stando alla sua ricostruzione parziale e inaffidabile, non è effettivamente accaduta. Prima di Lestat, non si era mai concesso di provare sentimenti di intimità verso qualcuno, donna o uomo che fosse. Ma Lestat l’ha sedotto in maniera irreversibile, e Louis ha lasciato che il vampiro prendesse un petit coup, “un piccolo sorso” di lui, per testare le acque e fargli provare un assaggio della sensazione più estrema che si possa provare. La ricostruzione, però, non mostra nessun rapporto, anche se dopo l’esperienza i due uomini ansimano insieme, nudi e bagnati di sudore e sangue. Ma il senso di colpa, distintamente cattolico, induce Louis a vergognarsi di qualcosa che non è già accaduto, ma è come se si fosse realizzato, anche solo perché è stato immaginato. La consapevolezza del desiderio è percepita come desiderio esaudito, cioè peccato. Mai prima di questo momento ha sentito bisogno di mettere piede in chiesa come un cristiano devoto; unito al senso di esaurimento nervoso a cui lo sottopone Lestat, il peccato della carnalità verso il suo stesso sesso lo porta al limite.
Di conseguenza, capiamo che in questo estremo momento di vulnerabilità Louis non è andato a confessarsi, ma a consegnarsi a Dio, sperando che il cielo si apra sopra di lui e lo prelevi per concedergli ciò che non è in grado di darsi da solo: non prega per il perdono, ma per la propria morte. Non riesce nel suicidio solo perché ha e avrà sempre ribrezzo per la morte, propria e altrui. E proprio in questo istante non scende dal Paradiso un angelo pietoso, ma sale dall’inferno il Diavolo, che non solo non gli concederà la morte, ma che lo punirà con la vita eterna. Mentre Louis invoca a parole il perdono di Dio, sta pensando all’entità che ha pervaso la sua mente e che non riesce a debellare con le proprie forze: fedele un tempo, fanatico adesso. Nel libro, non a caso, si legge: “Chi ha smesso di credere in Dio nel bene continua lo stesso a credere nel diavolo. Non so perché. No, anzi, lo so: il male è sempre possibile”.
Quando verrà interrogata sull’apporto che il cattolicesimo ha avuto nei suoi libri, Anne Rice risponderà2 che inconsciamente i vampiri sono sempre stati nelle sue opere metafore per gli outsider alla fede religiosa. Lei stessa, cresciuta con una forma mentis oppressivamente cattolica ma atea dalla maggiore età fino a tempi non sospetti, sostanzia il romanzo con il suo “senso di colpa e l’infelicità dell’essere tagliata fuori da Dio e dalla salvezza eterna”. Descrive la sua situazione come “l’essere perduta in un mondo senza luce”. Quando Louis cerca un ultimo rifugio nella chiesa, sta scappando da una stessa realtà priva di ogni punto fisso: ha perso il fratello, ha allontanato da sé sua sorella. Non c’è speranza nel mondo che conosceva: è orfano di ogni appiglio umano, privo di fede religiosa, tanto che da questo momento conoscerà solo il sovraumano che attraverso i suoi occhi è una declinazione del disumano. È la stessa situazione di perdita che porta Rice a scrivere il romanzo dopo la morte per leucemia della piccolissima figlia Michele: “Louis was me. That dark, brooding, melancholy person ripped from Catholic faith and tormented with guilt - that was me. I’d love to be Lestat: the wishful me, the active, the dream, the other one. Louis was the more true, autobiographical portrait of the conflicted and lost and orphaned person. That’s what the book is about. It’s about being orphaned”.3
Ecco che Lestat irrompe nella chiesa spargendovi fuoco e distruzione. Ma ciò che fa sopra a ogni disprezzo è macchiare di sangue la casa di Dio, insozzandola con l’elemento che mantiene in vita gli uomini e i vampiri in forme diverse, come il sangue di Cristo miete una vittima sacrificale per mantenere in vita chi lo merita: togliere la vita per rimanere in vita, l’eterno ciclo vampirico.
L’elegante e raffinato Lestat è ora terribile come un angelo biblico. Che emozioni prova il fedele quando vede scendere dal cielo una creatura divina, ma questa non ha ali candide e capelli dorati, ma un aspetto tale che è costretto a pregare il credente di non avere paura? E quando il suo viso unisce le due ascisse della divinità, quella angelica e quella diabolica? Questa nuova creatura ha in sé ogni componente del divino, quel caos di vuoto e pieno che cozzando generano il sublime. Al confine tra umano e disumano, naturale e ipernaturale, la visione è indescrivibile, come se si provasse a raccontare a qualcuno un’esperienza sessuale senza che l’altro l’abbia vissuta.
Spaventato da questo mostro, in un primo momento Louis tenta di ucciderlo - ma come fanno i codardi, cioè ficcandogli una spada tra le scapole. Non sa ancora che per riuscire nel parricidio del suo creatore dovrà aspettare di diventarne figlio/creatura. Così non può che ridursi al nulla. Nel libro, questa scena sembra uscita dal libro della Rivelazione:
“Quell’Io che non riusciva ad accettare la presenza di un essere straordinario accanto a sé fu annientato. Tutte le mie costruzioni mentali, e persino il mio senso di colpa e la voglia di morire, mi sembravano ormai prive di senso. Mi dimenticai completamente di me stesso nel modo più assoluto. E in quell’istante seppi perfettamente il significato delle nuove possibilità che si schiudevano. Da allora in poi provai soltanto una crescente meraviglia.”
Lestat affronta un Louis totalmente disarmato. Mantiene una pacata lucidità razionale che non gli è propria: il momento della creazione è troppo vicino per rischiare di rompere un equilibrio così fragile. Agli occhi di Louis, Lestat diventa una creatura divina. Non si trasmuta in un dio, ma è Dio, uno e trino: padre, creatore, amante. Vengono stabiliti in questo punto i rapporti di dipendenza tra creatore-padre e creatura-figlio, una delle più importanti lenti interpretative di Intervista col vampiro. Il vampiro Lestat diventa un oggetto di culto per Louis, che poche volte osa interrogarlo con tracotanza, e da cui non ottiene mai risposte, come un cristiano che prega di fronte a un muto e freddo crocefisso.
L’incommensurabile dono divino di cui Lestat si fa dispensatore è espresso con mistero, che è il mistero della fede a cui deve piegarsi ogni credente: “I am not the Devil, but I can give you death. I can give you that death you begged your feeble, blind, degenerate, nonexistent god for. But I can do it joyfully. I can swap this life of shame for a gift, a power you can’t begin to imagine”.
In una scena carica di erotismo sensuale e carnale, Lestat si accosta a Louis con un movimento così aggraziato e così sensuale da far pensare ad un amante. Confessa il suo amore. E il sottotesto omoerotico sale in superficie con un’ultima, estrema preghiera, questa volta di Lestat: “Be all the beautiful things you are and be them without apology”. Nel mondo che gli sta schiudendo di fronte, Louis può essere ciò che già è, senza sacrificare né sacrificarsi, ma può esserlo senza vergogna. La vergogna non si corromperà mai più in peccato.
Estremamente significativo è il momento che precede immediatamente la loro unione, prima ancora della trasformazione. Lestat, sovrastando Louis, chiede il consenso della sua controparte passiva; asserisce la sua dominanza ponendo la domanda, ma affida la responsabilità dell’ultima parola all’uomo che gli si è consegnato. “You just have to ask me for it”. La risposta non è verbale perché mossa dall’urgenza, ma risulta totalmente inequivocabile. Al bacio del vampiro assiste Dio.
Quasi come una naturale conseguenza, quel bacio diventa il morso fatale, anche se c’è una tale contiguità tra i due gesti che è come se ne fossero uno solo. L’amore e la morte macabramente suggellati da un solo gesto: il morso del vampiro.
Nel momento in cui il suo collo viene penetrato dai denti di Lestat, la scossa che prova Louis è “simile a un orgasmo”, anche se i due termini di paragone sembrano sovrapporsi completamente: è “l’esperienza suprema” che possano provare umani e vampiri rispettivamente. Lestat lo morde per trasformarlo, e non per ucciderlo, portandolo “alle soglie della morte”. Dunque non è una morte quanto, nel più letterale dei sensi possibili, la petite mort, l’unica altra sensazione paragonabile al superamento di un limite che fino a un secondo prima sembra invalicabile, il raggiungimento dell’orgasmo.
Il momento in cui un vampiro morde un essere umano è per lui il vissuto in cui scorre ogni frammento di vita, pertanto il sentimento più intenso che possa provare. Louis la paragona alla migliore droga che si possa provare, moltiplicata all’ennesima potenza. Come postulato da Lloyd Worley4, il morso del vampiro e l’orgasmo umano sono effettivamente coincidenti. Nei romanzi gotici, infatti, si verifica un “dislocamento del sesso genitale nel sesso orale”. I rapporti tra vampiri non includono alcun tipo di organo genitale, quanto il più letterale uso del cavo orale: bocca, denti e lingua. La grande morte altrui genera una petite mort personale. Sentire il sangue caldo scorrere nella propria gola diventa un’esperienza paragonabile a percepire il seme nel proprio sesso. La suzione del nutrimento sanguigno diventa un’immagine carica di erotismo. Il vampiro penetra per ottenere sangue ed è penetrato dal sangue che riceve; riceve e insieme deposita il suo fluido, in uno scambio fertile che appare è omosessuale e androgino insieme. L’esperienza è sigillata dal rumore dei due cuori che, come altri muscoli in simili circostanze, pulsano e si contraggono insieme.
Piegato da questa esperienza estrema, nelle sue orecchie Louis non sente le trombe dell’Apocalisse, ma i tamburi dei cuori. Prima uno solo, lento e potente, sempre più vicino; presto, a questo martellare se ne unisce un altro. Il cuore del vampiro-creatore batte insieme al cuore della vittima sua creatura. In questo momento si spezza nel tempo e ogni tipo di logicità si scioglie nell’irrazionalità. La mente umana, specie quella cattolica, non riesce a percepire un dolore così intenso che si percepisce come un piacere, o un piacere così doloroso che ti spinge a un passo dalla morte.
Questo perverso e innaturale desiderio vampirico si inserisce precisamente nel canone della queerness horror, che abbraccia l’amore parallelo e contronaturale che ne fronteggia uno consueto e accettato. Desiderio e repulsione della dialettica gotica potrebbero essere gli attributi di Lestat e Louis: la sete mostruosa di sangue è liberata dalla lente dell’eteronormatività che lo respinge. Diventa metafora sessuale di un’unione invitante e terribile, la soddisfazione del sangue umano nelle cavità corporee assetate.
Per sua stessa ammissione, Rice non sarebbe riuscita a raccontare questa storia senza la sostanza erotica che ne fa da sottostruttura narrativa. Più precisamente, l’amore tra Louis e Lestat è un amore queer. Queer è per definizione tutto ciò che è in contrasto con il normale e normato, il legittimo e legittimato, un’opposizione al pensiero dominante. Se le norme imposte sono umanità ed eterosessualità (e la loro realizzazione: la procreazione), i vampiri ne diventano l’espressione più trasgressiva. La vita e la morte sono naturali, mentre i vampiri sono viventi che hanno oltrepassato ogni limite naturale: sono morti viventi. Devandra P. Varma scrive5 che “l’immagine del vampiro che si solleva dalla tomba per nutrirsi del sangue degli uomini belli e innocenti non è macabra, ma voluttuosa”: è un erotismo che supera il limite della morte e cerca una soddisfazione che in vita non ha potuto ottenere, in quanto freudianamente represso. Da un lato la vita eterosessuale ha il fine ultimo la propagazione della specie tramite riproduzione, dall’altro l’omosessualità non può fisiologicamente produrre vita: la non-vita è la stessa che conduce il vampiro per l’eternità.
Così il vampirismo diventa metafora delle relazioni di genere e della sessualità, della repressione sessuale, della perversione e della dissidenza. Il vampiro queer solo di notte risale in superficie, ma trascorre il resto della vita sottoterra, underground come gli orientamenti sessuali non eteronormati. Spaventoso a guardarsi, proprio per questo è incredibilmente affascinante e irresistibile: in una parola, sublime. E quale sensazione può essere così violenta e trasgressiva se non l’amore, in ogni sua espressione?
Il profondo e umano rispetto per la libertà di ogni forma di amore è ciò che, dopo un’allucinante parentesi da cattolica fervente, Anne Rice rifiutò una volta per tutte alla cristianità: “I quit. In the name of Christ, I refuse to be anti-gay. I refuse to be anti-feminist. I refuse to be anti-artificial birth control. I refuse to be anti-Democrat. I refuse to be anti-secular humanism. I refuse to be anti-science. I refuse to be anti-life. In the name of Christ, I quit Christianity and being Christian. Amen”6.
Amen, Anne Rice.
- IG @ilcuoresemplice
Alexia Hudson-Ward, Associate Director of Research and Learning, Massachusetts Institute of Technology (MIT) Libraries.
Anne Rice: “I thought the church was flat-out immoral. I had to leave”, intervista di Emma Brockes, «The Guardian», 24.10.2010.
Love Bites. Tom Cruise and Kirsten Dunst of 'Interview With the Vampire', intervista di Rachel Abramowitz, «Premiere Magazine», novembre 1994.
Lloyd Worley, Loving Death: The Meaning of Male Sexual Impotence in Vampire Literature, «Journal of the Fantastic in the Arts», Vol. 2, No. 1 (1989), pp. 24-36.
Devandra P. Varma, The vampire in Legend, Lore and Literature, in The Vampire in Literature: A Critical Bibliography (a cura di Margaret Louise Carter), UMI Research Press, 1989.
Dalla stessa intervista a «The Guardian».